note di regia di Gianni Battaglia
Non è ricorrente trovare nel repertorio più noto del teatro italiano un'opera su Gesù. Non è ricorrente trovare un testo contemporaneo sul sacro. Il teatro italiano, quello più conclamato e commerciale, al momento di questa messa in scena, sconcerta per l'aridità di contenuti. Occorre restituire la poesia al teatro, occorre restituire la parola al teatro.
Nel corso della mia carriera teatrale sono sempre stato affascinato da tutto ciò che va controcorrente, da tutto ciò che è nuovo e antico nello stesso tempo. Sono stato affascinato da quest'opera di Emanuele Giudice e la ripropongo nella sua forma originaria, scarna ed essenziale, senza orpelli scenografici e drammaturgici, recuperandola nella sua assoluta purezza linguistica. Con l'oratorio, con questo oratorio in particolare, siamo in presenza di un teatro di "parola" pura. Come scritto in altre riflessioni l'oratorio voleva essere portatore di una parola universale, di una indagine ispirata sull'essere e sull'esistenza. Più che divertire doveva suscitare stati meditativi. Su tali originari profili ho modellato la regia di questo allestimento. Ho lavorato per restituire la semplicità e l'essenzialità di una interpretazione giusta della parola di Emanuele Giudice, senza alcuna enfasi, senza indugi teatrali o compiacimenti spettacolari. La parola "portata" come strumento musicale, modulata come sonorizzazione suggestionante dei contenuti. E con la musica a segnare ritmicamente i brani, talora a sostenerne il sentimento, ma più spesso a fungere da scansione formale, di essi, fra un quadro e l'altro.