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note di regia di Gianni Battaglia - pag1
Il teatro di Aristofane fu una "macchina di spettacolo", di puro
intrattenimento, persino, prima di delinearsi come compendio di satira,
civile, politica, e fabula e invenzione fantasticante. Fu concepito per
una società (ateniese, del V sec.) bisognosa di evasione. Sicché verrebbe
da dire, con il cineasta Neri Parenti, "Brutti tempi quando la gente
ha bisogno di ridere". E invero gli anni attorno al 414 a.C. non
furono felici per Atene. Come non lo sono questi anni, per la Nazione
Italia.
L'analogia fra la storia greca del tardo V secolo e la contemporaneità è il
motivo di fondo che mi ha indotto a spingere l'allestimento de Gli
Uccelli verso un avvolgente gioco scenico, spensierato, leggero e leggiadro,
pur con la compostezza del gesto rituale, ma con il guizzo improvviso
(atteso però perché preparato) della boutade, della battuta
canzonatoria o lepida, del gesto sconcio, irriguardoso, questo sì irrituale.
Ed è diventato spettacolo comico questo allestimento, nel contesto
di una azione scenica che i giovani bravi interpreti del Laboratorio
Dionysos rendono ludica, corrosiva, irridente.
L'allestimento resta ancorato alla scrittura di Aristofane, all'interno
della quale si concede delle divagazioni "atemporali" e qualche
contaminazione contemporanea. "Il miglior modo di celebrare un classico è quello
di tradirlo" (proclamava C. Bene). L'epoca di Aristofane come "tempo
presente" di questa rappresentazione è rispettata pienamente,
ma è segnata da talune "fughe in avanti" nel tempo,
da progressioni e sconfinamenti in temi della contemporaneità.
Ma non per artifici immotivati di drammaturgia, piuttosto come flash-forward,
come anticipazione, pre-visione, pre-annuncio, di riferimenti futuri.
Questo lavoro su Aristofane lascia inalterate le peculiarità interne,
anche formali, del testo: la centralità della Parabasi (delle
Parabasi),
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